Prima di entrare in fabbrica facevo il verniciatore d’auto con una carrozzeria autorizzata dall’Alfa Romeo. In quegli anni non avevo una conoscenza benché minima delle problematiche sindacali e politiche, vivevo soltanto per il lavoro. Mi capitava spesso di lavorare con delle ditte private tra le strutture dell’Italsider. Non ho un buon ricordo di quel periodo. Tutti quelli come me, erano discriminati rispetto agli operai dell’Italsider che erano invece protetti dal sindacato quando manifestavano contro il sistema. Noi delle ditte potevamo essere licenziati in qualsiasi momento con una disinvoltura incredibile. Un capocantiere la mattina faceva l’appello per indirizzarci verso il settore di lavoro all’interno dell’Ilva e se uno aveva un cognome difficile veniva invitato a non ripresentarsi al lavoro l’indomani, sembra un paradosso, ma si tratta di episodi che sono accaduti realmente tra i lavoratori delle ditte. Queste richiedevano una manovalanza spicciola all’insegna dello sfruttamento.
Nel 1969, dopo l’autunno caldo, il consiglio di fabbrica dell’Ilva distaccò una persona per organizzare il lavoro sindacale all’interno delle ditte. Era questo un segnale positivo anche per L’Ilva perché si stava cercando di avere più chiarezza anche tra gli appalti, per un lavoro più tranquillo ma anche più proficuo.
Fui fortunato per essermi trovato proprio in quel periodo a lavorare, sia pure con una pessima ditta, tra le strutture dell’Ilva. Non credo di essere un tipo remissivo anzi nei confronti delle ingiustizie di questo mondo sono sempre stato misuratamente ribelle e per me era arrivato il momento giusto perché attraverso i contatti col consiglio di fabbrica, con la politica di quel periodo ho capito molte cose che fino ad allora avevo ignorato. Mi appassionai e rifiutai persino un buon lavoro come capo verniciatore in un’azienda privata.
Era iniziata la battaglia anche all’interno delle ditte. Era finita l’epoca del lavoro per il lavoro. Non si andava a lavorare monotonamente, si discuteva delle problematiche di tutti noi con la passione e la consapevolezza che uniti si potesse vincere.
Finalmente arrivò anche il giorno in cui fui assunto dall’Ilva. Entrare in fabbrica ha significato un cambiamento radicale del mio modo di vivere, avevo molte certezze in più e potevo condurre più sicuro la mia famiglia verso un futuro migliore.
E poi potevo impegnarmi nella lotta per migliorare anche la sorte di altri lavoratori che avevano i miei stessi problemi. La fabbrica mi ha dato la possibilità di conoscere tante persone e di ragionare dei problemi del paese. Attraverso la fabbrica sono maturato ho avuto coscienza delle mie capacità. Con gli stessi compagni della FIOM il dialogo è stato piuttosto movimentato, perché all’interno del sindacato c’erano compagni favorevoli ad una trasformazione per migliorare la produzione dell’acciaio e compagni per niente favorevoli perché si stava andando verso una crisi del “sistema acciaio” …
Peppe Caccavallo